La vocazione musicale di Riccardo Zandonai (1883-1944) fu assai precoce: dopo i primi studi regolari alla scuola di Rovereto con Vincenzo Gianferrari, fu mandato al Liceo musicale di Pesaro diretto da Pietro Mascagni, dove esaurì in tre anni l’intero corso decennale degli studi superiori di composizione.

Si mise ben presto in luce negli ambienti milanesi, conquistandosi la stima della Casa Ricordi, che lo aggregò con l’intento di farne l’erede naturale di Puccini. I lavori di apprendistato apparsi in questi primi anni del secolo si distinguono per quantità e varietà di approccio: tra essi vanno almeno ricordate le due Scene dantesche, l’opera La coppa del re (da Schiller), rimasta inedita e ineseguita, il poemetto pascoliano Il sogno di Rosetta e molta musica occasionale.
Il forte istinto teatrale lo indirizzò da subito verso l’opera, che contribuì a rinnovare nelle strutture e nel segno attraverso una serie di lavori che spiccano per impronta personale e linguaggio innovativo, specie nell’armonia evoluta e nella raffinatezza della scrittura orchestrale.
La sua prima opera edita da Ricordi fu II grillo del focolare (1908, da Dickens), che mise in luce la sua sensibilità nell’evocare delicate atmosfere intimistiche; ma la sua natura inclinava altrettanto fortemente verso situazioni passionali e irruente, che trovò a disposizione nei soggetti drammaticamente più intensi di Conchita (1911, da Louÿs), Melenis (1912, da Bouilhet) e Francesca da Rimini (1914), tratta dalla tragedia di D’Annunzio, che è rimasto il suo capolavoro indiscusso. Ad essa seguì la commedia musicale La via della finestra (1919, da Scribe).

Zandonai con i genitori e Oliviero Costa

Ancora negli anni di studio aveva stabilito la sua residenza a Pesaro e da lì visse con trepidazione le traversie della guerra che imperversava nei suoi luoghi natii. La convinta adesione alla causa irredentistica gli aveva cagionato l’accusa di alto tradimento da parte dell’Austria e la relativa confisca dei beni. Nel 1916 sposò la cantante Tarquinia Tarquini, che aveva conosciuto ai tempi di Conchita.
Nel corso degli anni, pur mantenendosi stabilmente nella città adriatica, frequentò regolarmente il Trentino, dove coltivava un giro di amicizie fedeli e dove spesso trovava ispirazione per i suoi lavori.
Il critico romano Nicola D’Atri divenne in quegli anni il suo amico più fidato, nonché ascoltatissimo consigliere e attento organizzatore della sua vita artistica. Fu lui ad aggregare a Zandonai il poeta e librettista Arturo Rossato creando un sodalizio artistico che durò per i successivi vent’anni.
Il primo risultato fu l’opera Giulietta e Romeo (1922, da Luigi Da Porto), con la quale Zandonai intese tornare a un’idea più tradizionale di melodramma in modo da offrire al pubblico occasioni di entusiasmo e di commozione. Più ambiziose le finalità dei Cavalieri di Elebù (1925, da Lagerlöf), di soggetto nordico, che mise in evidenza uno Zandonai nuovo, più introverso e austero, ma sempre abilissimo evocatore di atmosfere nonché, in questo caso, efficace movimentatore di masse corali.
Con la successiva opera Giuliano (1928, da Jacopo da Varagine) aderì alla voga delle opere di carattere mistico che tanto seguito stavano avendo in Italia; poi tornò alle atmosfere spagnole della gioventù con la drammatica Una partita (da Dumas padre) e la comica La farsa amorosa (da Alarcón), uscite entrambe nel 1933.

L’oggettiva crisi dei teatri pose Zandonai, come la maggior parte dei suoi colleghi in Italia, alla ricerca di altre strade e così si indirizzò verso la composizione di pezzi sinfonici e cameristici e la direzione d’orchestra, poi anche verso la musica di commento per il cinema. La sua produzione sinfonica, le cui origini risalgono agli anni giovanili, si espresse tipicamente nella forma del poema sinfonico di matrice tardoromantica, con titoli che richiamano spesso immagini native rivissute nostalgicamente (Primavera in Val di Sole, Autunno fra i monti, Quadri di Segantini, Rapsodia trentina, ecc.). Ha all’attivo anche musica concertante, dal Concerto romantico per violino a Il flauto notturno, al Concerto andaluso per violoncello, che era un dei suoi strumenti prediletti. Né vanno dimenticate le moltissime liriche vocali da camera, la produzione corale sacra e profana, le composizioni per banda.

Zandonai a Villa Lagarina assieme al pittore Attilio Lasta

Ai tempi in cui era direttore del Conservatorio di Pesaro compose il suo ultimo lavoro: il Trio-Serenata. Da tempo si portava dietro un’opera, poi chiamata Il bacio (da Keller), che alla sua morte rimarrà incompiuta del terzo atto. Morì sfollato al convento francescano di Mombaroccio, dopo che la sua casa gli era stata requisita da un comando tedesco. Nel 1947 la salma fu trasportata a Rovereto e collocata con tutti gli onori nel cimitero di Borgo Sacco.
Le opere e i giorni di Zandonai sono oggetto di studi che si sono intensificati e strutturati in questo secolo, culminando nella costituzione, a Rovereto, di un Centro Internazionale di Studi a lui intitolato (2010). L’altro organismo cittadino a lui dedicato, il Laboratorio Permanente R. Zandonai, ha portato a compimento la divulgazione del vastissimo carteggio intrattenuto da Zandonai con D’Atri, Rossato e molti altri personaggi della sua epoca; procede inoltre con la trascrizione e messa in rete di molto altro materiale zandonaiano (bibliografia, studi critici, testi musicati, rassegna della stampa storica).

Riccardo Zandonai con i suoi cani

Per approfondire:

Centro internazionale di studi “Riccardo Zandonai” APS

Ascolta il podcast dedicato alla vita di Zandonai su RaiPlay Sound